Tra qualche giorno arriverà l’ennesimo 1 maggio, tutti saremo contenti di vivere un giorno di tranquillità, di festa con annessa scampagnata, rustuta di sasizza e mezzo litrotto di vino compreso. Si riderà, si giocherà, ci si riposerà, e la giornata sarà trascorsa tra l’ allegria e la leggerezza, e tutti saremo contenti per esserci riposati e divertiti un giorno in campagna con amici, parenti, ecc ecc….
Peccato che qualcuno tra un caddozzo di sasizza, un bicchier di vino e una cacocciola arrustuta potrebbe sussurrarvi nell’ orecchio: “ c’ è picca i festeggiari! Questo anno è il sessantesimo anniversario della strage di Portella della Ginestra!” e voi magari comprensibilmente penserete “ma puri quannu manciu e mi staiu rilassannu ci ha rumpiri i cugghiuna?” o nel migliore dei casi “ma se succidiu 60 anni fa, ora chi minchia voi di mia?”.
La cosa triste è che queste osservazioni appaiono legittime alla stragrande maggioranza dei siciliani, per i quali il primo maggio non vale più di una gitaincampagna-mangiata-mbriacatina-dummutasuttaunpedidiarburu. In realtà l’1 maggio 1947 è una data rilevante sia per la Sicilia che per l’ Italia, proprio perché quel giorno si consumarono diversi attacchi: ai siciliani che finalmente stavano iniziando ad alzare la testa, al movimento dei lavoratori che intransigenti pretendevano il rispetto dei loro diritti, al movimento comunista e socialista che dopo decenni di oscurantismo fascista ed ecclesiastico stava iniziando ad organizzarsi e battersi per difendere e diffondere ideali e pratiche di giustizia e libertà.
In quel giorno 2000 contadini di Piana degli Albanesi manifestavano a favore dell’occupazione delle terre, contro il latifondismo, e a favore della vittoria elettorale del Blocco del Popolo (osteggiata da latifondisti,mafiosi, neofascisti, americani e ambienti vaticani, insomma la crema del genere umano).
Sulla folla, giunta nella vallata della Portella della Ginestra, fu fatto fuoco e 11 contadini, tra cui 9 adulti e 2 bambini, furono ammazzati come cani (in seguito per le ferite riportate ci furono altri morti) e 27 furono i feriti gravi. La fatale e gravissima colpa di cui si erano macchiati era quella di rivendicare condizioni di vita dignitose.
Muli, mafiosi e ignoranti con gli occhi chiusi. Questo è il popolo siciliano che il potere vuole e che quotidianamente con le sue strategie occupazionali e sociali determina.
Per fortuna, già sessanta anni fa avevamo la democrazia. Per fortuna, oggi addirittura ne abbiamo così tanta, che non abbiamo che farcene, e addirittura ci possiamo permettere di esportarne un po’insieme ai vestiti D&G,Valentino, e tutti gli altri prodotti di gusto italiani negli altri paesi meno democratici di noi… Per fortuna che siamo in una repubblica democratica fondata sul lavoro, e chi si macchia di un reato prima o poi verrà inesorabilmente punito!
Infatti, per questa strage venne incriminato Salvatore Giuliano, una bestia di bandito mafioso, animato da fervori anticomunisti, che però fu ucciso dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta nel 1950 (il quale nello stesso anno venne avvelenato dopo aver preannunciato rivelazioni sulla strage). GIUSTIZIA E’ STATA FATTA(!): chi ha ideato tutto è stato Giuliano e la sua banda di balordi, chi ha sparato tutti i proiettili è stato Giuliano e la sua banda di balordi, chi ha finanziato la strage è stato sempre Giuliano e la sua banda di balordi, e il villaggio dei puffi si trova nel Monte Mojo (speriamo che Gargamella non legga questo post!).
L’ aspetto esilarante (risate amare come il veleno) è che il ministro dell’interno dell’epoca, Mario Scelba, era siciliano, di Caltagirone, e pieno d’amore per la Sicilia e avido di giustizia si premurò a sostenere che le motivazioni della strage “non erano d’ordine politico” (forse perché non gli piaceva paragonare questa strage alle stragi di contadini e operai commesse dalla celere negli anni in cui egli fu in carica ).
Adesso dopo queste considerazioni tediose (perdonatemi, ma quando sono di buon umore è sempre così), mi è doveroso farne un’ altra… o forse è meglio concludere con un interrogativo: sotto il fascismo la festa dei lavoratori era proibita, oggi per fortuna siamo democraticamente liberi di fare democratiche scampagnate, arrostire democratica sasizza e democratici cacoccioli, bere democratico vino e se di nascosto ci scappa anche un democratico spinello, sotto sotto siamo sempre democraticamente liberi… W la democrazia?
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3 commenti:
Si tratta di una delle pagine più buie della storia italiana dal dopoguerra. A distanza di 60 anni le certezze sono tante e i dubbi pochi. Le istanza dei contadini erano sacrosante; le intenzioni di chi li organizzava (manovrava?) forse un po' meno. Credo che molte coscienze sono state appesantite da quella strage, non solo quelle di Giuliano e dei suoi scagnozzi.
Le certezze storiche sono tantissime. È l’azione di una certa giustizia e di una certa politica, contigue e conniventi con alcune logiche dannose non solo per la memoria, ma anche per la democrazia, che specula sull’ ignoranza, alimentando l’ immagine del mito e del mistero.
Le istanze dei contadini erano dettate dalla fame e dalla miseria. Chi li organizzava, i cosiddetti capipopolo, erano soprattutto il medico Nicola Barbato e il sindacalista Schirò, che di certo non volevano annettere la Sicilia alla Russia, né erano favorevoli alla linea insurrezionalista condivisa in quegli anni da alcuni esponenti all’ interno delle fila del Pci (Longo, Secchia…..). Questi “sinistri” soggetti avevano come obiettivo, pericolosissimo per il nuovo ordine democratico, solo ed esclusivamente una corretta attuazione della riforma agraria al fine di sottrarre i contadini alla schiavitù del latifondismo (cosa che si verificò solo in pochissime zone d’ Italia, grazie anche all’ intervento di “organizzatori e manovratori”).
Diversi storici, tra i quali Casarrubea e Cereghino, sono andati a controllare i documenti desecretati statunitensi e britannici, dai quali emerge chiaro che sono stati il Comando militare e l’ intelligence statunitense a dare il via all’ operazione golpista nell’ autunno del ’46 per instaurare una dittatura militare affidata all’ arma dei carabinieri, con l’ obiettivo di mettere fuori legge il Pci di Togliatti. Ciò che si temeva era che il popolo, stanco della destra conservatrice e reazionaria, e dei democristiani (ex popolari) che avevano consegnato l’ Italia nelle mani del fascismo, avrebbe continuato a votare comunisti e socialisti, consentendo a queste forze di vincere democraticamente le elezioni dell’ aprile 1948.
L’ esecuzione del piano golpista fu commissionata alle squadre neofasciste, che in Sicilia, l’1 maggio 1947, misero in atto la strage di Portella della Ginestra.
I finanziamenti arrivavano in abbondanza principalmente dall’ Argentina: si trattava del celebre oro nazista, gestito dall’ Internazionale Nera di Bormann e Skorzeny e dal governo reazionario di Peron. Dai documenti emergono inoltre i finanziamenti elargiti dalla Banca Nazionale dell’ Agricoltura e dalla grande industria ai gruppi paramilitari neofascisti dell’ Italia neodemocratica.
È in questo contesto che si colloca l’ azione militare di quella bestia di Giuliano. Il suo gruppo era uno squadrone della morte agli ordini dei Fasci di Azione Rivoluzionaria di Pino Romualdi, delle Squadre Armate Mussolini e della Decima Mas di Junio Valerio Borghese.
… e non è ché! A quanto pare, togliendosi i paraocchi, di oscuro c’è ben poco…
Il dilemma etico si riferisce al fatto che molti dei protagonisti di quella stagione nera godono ancora di ottima salute, e che il reato di strage per fortuna non è soggetto a prescrizione. E se è vero, come diceva Sciascia, che un popolo senza memoria è un popolo senza futuro, proprio noi siciliani, dovremmo spenderci ognuno in prima persona, affinché i rappresentanti della giustizia ci diano i nomi dei mandanti. È un insulto nei confronti dei superstiti di quella giornata che la memoria dei decaduti non si fermi alla commemorazione dell’ 1 maggio con sasizza e vino.
Ps: nel frattempo che scrivo, una seconda data , di cui tra qualche giorno avremo l’ ennesimo anniversario, balugina nella mia mente, quella del 9 maggio 1978, giorno in cui Giuseppe Impastato (reo di considerare la mafia “una montagna di merda”) veniva assassinato dalla maf… cioè, volevo dire: data in cui il giovane rimaneva vittima di un’ esplosione causata da una carica di tritolo, che egli stesso, in preparazione di un attentato terroristico, stava piazzando lungo le rotaie del treno nella località di Cinisi.
...oplà... la pagina oscura è diventata chiara come una giornta a di sole
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